Campana: quarantene light per lo sport o caos ad oltranza
Alla conferenza-stampa pre-partita di venerdì ha preso parte anche il direttore generale del club bianconero Michele Campana (TiPress) ha spiegato che “questa situazione ci ha insegnato tanto. Nel concetto di protezione accolto dalle autorità era chiaramente stabilito che fino a quattro persone potessero mangiare allo stesso tavolo. Noi abbiamo utilizzato un tavolo da otto per far pranzare prima del match quattro giocatori. Onestamente ci ha sorpreso quello che è successo, anche se rispettiamo le decisioni prese. Come ho detto più volte mi chiedo come il mondo del calcio possa andare avanti in queste condizioni. Il Consiglio Federale spinge per farci proseguire l’attività per non versare le indennità per lavoro ridotto e vuole evitare un lockdown totale come a marzo, però ci vogliono le condizioni quadro per andare avanti. Siamo sulle sabbie mobili e ogni volta che un giocatore ha un raffreddore per due giorni stiamo tutti sul chi vive. Ogni volta che un elemento risulta positivo si impiegano tre o quattro giorni di lavoro, trenta tamponi e un caos infinito con tanta incertezza: non è bello lavorare in questo modo. Quando, come nel prossimo week-end, viene disputata una partita su cinque bisogna farsi delle domande. C’è un peccato originale di base – come ho detto più volte – ed è la mancanza di un protocollo che tuteli il proseguimento del campionato e che tratti in modo differenziato determinati sport professionistici (penso in particolare all’hockey e al calcio) dal resto delle attività. Fin quando non avremo una soluzione accettata da tutti i medici cantonali, o imposta dall’alto, dove, nel caso di positività di uno o più giocatori, si applichi automaticamente una “quarantena light” per i negativi, non so dove andremo. Nessuno sa quanto questa seconda ondata sia lunga, quanto la crisi possa durare. Abbiamo la volontà di giocare tutte le 36 partite e di rispettare contratti con tv e sponsor, di accettare anche le porte chiuse, ma qualcosa dobbiamo ricevere per poter andare avanti. E la certezza minima è un protocollo chiaro che eviti le quarantene generalizzate”.
– Ma la SFL prima dell’inizio di questa nuova stagione aveva detto che gli insegnamenti della primavera erano stati messi in pratica e che il protocollo preparato era a prova di bomba. L’errore di chi è allora?
“La Lega, che è composta dai club, ha probabilmente fatto i conti senza l’oste. Il motivo che sta dietro a tutto questo è legato al federalismo e alla legge sulle pandemia. Quando la situazione è solo “particolare” i cantoni mantengono le competenze e l’Ufficio federale della sanità pubblica pre non possa imporre ai medici cantonali misure o decisioni. Solo quando la situazione diventa straordinaria Berna può emanare decreti validi su tutto il territorio nazionale. Ma l’inghippo è che a quel momento siamo in situazione di lockdown, quindi anche gli sport sono già fermi ed è tutto inutile: non c’è insomma una via di mezzo che ci salvi. Penso comunque che a tutto si possa trovare una soluzione: se chi è in alto non riesce a trovarla probabilmente non ha fatto i compiti bene”.
-La Lega sta cercando di trovare una soluzione o fa orecchie da mercante?
“Capisco che sia molto difficile trovare delle soluzioni. È anche vero che le cose evolvono continuamente. Ci eravamo illusi durante l’estate che la situazione potesse essere gestita, il virus era praticamente sparito ma ora – ovviamente – visto che i giocatori non è eticamente e finanziariamente possibile rinchiuderli in un hotel o testarli di continuo, non è facile trovare una soluzione. Detto questo penso che quando non si trova una via d’uscita con le buone ci sia anche un altro modo di intervenire. Forse ci vorrebbe un po’ di coraggio e spingere chi è in alto nelle posizioni giuste ad approvare un protocollo che preveda le “quarantene soft” per gli sportivi professionisti di alcuni campionati”.
-Per ” spingere” dovrebbero però essere d’accordo tutte le società: c’è unanimità da questo punto di vista?
“Penso che nei prossimi giorni qualcosa dovrà accadere. Ci si parlerà, non so in che direzione si possa andare. Di certo fino ad adesso non siamo riusciti a trovare nessun tipo di strategia; è il momento di iniziare a proporre o a fare pressione anche sul Consiglio Federale sperando che ci sia un’unione d’intenti tra calcio e hockey com’è stato il caso finora. Il discorso da fare è semplice: ci volete far continuare, ci negate aiuti, salvo permetterci di contrarre debiti, non volete un lockdown? Perlomeno però trovate una soluzione ad hoc per noi, altrimenti ci troviamo a disputare un match su cinque con un danno enorme che si aggiunge e aggrava la nostra situazione economia e finanziaria”.
-Sembra, dopo aver sentito gli interventi televisivi del vostro medico e del ds dell’Ambrì Duca, che il medico cantonale ticinese sia il più sensibile verso lo sport. Siete voi a dirlo.
“Ieri sera ero abbastanza soddisfatto, poi ho letto la notizia della quarantena dell’Ambrì, non conosco i dettagli ma è chiaro che sono situazioni che un po’ ti fanno crollare le sensazioni positive sulle cose che siamo riusciti a ottenere. Grazie – sia chiaro – a circostanze favorevoli tipo che i sintomi di Bottani si sono rivelati lunedì dopo che domenica era un giorno libero per tutti, che sabato era un giorno-partita con l’utilizzo di più spogliatoi, che lo stesso Bottani ha giocato solo 25′ e che l’altro positivo (Osigwe, ndr) era in panchina. Insomma è andato quasi tutto bene. Non è che abbiamo ottenuto cose straordinarie, in un altro contesto ci sarebbe accaduto quanto è successo ai discatori dell’Ambrì. Il problema è grande e va risolto in alto. Ripeto – per non essere fraintesi – c’è la massima comprensione per le decisioni del Dottor Merlani e per la situazione sanitaria in Ticino. Il nostro unico rammarico è che ci stiamo rendendo conto che in un momento di contagi molto diffusi, con tassi di positività che si avvicinano al trenta per cento dei tamponi eseguiti, è inevitabile che questi casi entrino nelle squadre. Probabilmente bisognerà arrivare a una decisione: lo sport va avanti o si ferma? Per proseguire però bisogna accettare che gli sportivi professionisti di determinati campionati non vengano trattati come un comune cittadino. Una situazione che era già stata discussa a maggio, poi il problema è stato rimosso o è stato spostato perché si è trascorsa un’estate tranquilla, ma ora ce lo ritroviamo diritto in faccia”.
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